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Dal dolore alla trasformazione

Quinta parte del progetto “L’altra faccia del dolore”

Molti anni fa, in un povero villaggio cinese, viveva un agricoltore con suo figlio. Suo unico bene materiale, a parte la terra e la piccola casa di paglia, era un cavallo che aveva ereditato da suo padre.
Un giorno, il cavallo scappò lasciando l’uomo senza animali che potessero lavorare la terra… Continua a leggere

Quando si afferma che la sofferenza è in grado di mettere sottosopra la nostra vita, è ancor più vero se si considera quanto può accadere alla nostra visione del mondo: la messa in discussione di idee, convinzioni, abitudini può scuotere nel profondo, a tal punto da creare lo spazio per un nuovo sguardo, un nuovo approccio alla vita e al vivere.

Come conseguenza della comprensione e accettazione (link al prec articolo) del presente che si sta vivendo, soprattutto quando percepito come spiacevole, emerge in noi un nuovo modo di pensare simile a quello del vecchio cinese che non giudica ciò che gli accade apponendogli l’etichetta “buono” o “cattivo”, ma lasciando piuttosto che i suoi effetti si mostrino nel tempo.

“Come sai se questa è una disgrazia?”, “Come sai se questa è una benedizione?”, sono domande che sfidano i luoghi comuni, che ci costringono a mettere tutto in prospettiva e a non dare nulla per scontato. Sono domande che possono emergere solo dopo che la propria vita ha subito una battuta d’arresto: è allora, infatti, che rischiamo di vedere tutto come un male, ma si tratta di un atteggiamento che, se protratto nel tempo, ci fa soffrire ancor più della situazione stessa.

I nostri pensieri, il nostro atteggiamento determinano in ampia parte la sofferenza che sperimentiamo. Non è, infatti, solo quello che ci capita a farci soffrire, ma il modo in cui lo viviamo.
Il nostro atteggiamento nei confronti delle situazioni, i nostri pensieri acquisiscono un’importanza cruciale nel processo di liberazione dalla sofferenza e dalle emozioni correlate. Come spiegano gli autori del libro Ritrovare la serenità, gli studi in materia hanno messo in evidenza che l’umore è “fortemente influenzato dai pensieri” e che non sono “necessariamente gli eventi in sé a determinare le nostre emozioni, ma le nostre credenze o le interpretazioni di tali eventi”.

Siamo noi, quindi, a determinare il colore che assumerà una certa situazione e di conseguenza ci sembrerà di non poterla vivere altrimenti.
Quando il centro del problema che stiamo vivendo si trasferisce dall’esterno all’interno, una rivoluzione è in atto in noi.

Immagine di Dmitri Posudin

Allenando l’osservazione non giudicante, la presenza mentale che in sé è consapevolezza, possiamo prestare attenzione a ciò che sta accadendo in noi, alle cose così come sono, senza volerle cambiare a tutti i costi, ed è allora che il vero cambiamento può avere luogo: perché non si tratta di cambiare la situazione, quanto di un cambio di prospettiva, di atteggiamento. “Mutare il proprio atteggiamento nei confronti del mondo”, scrive Carotenuto in La chiamata del Daimon, “significa anche aprirsi in modo nuovo alla relazione, essere umili e disponibili, guardare le cose con occhi nuovi che consentano di apprendere dalle esperienze.”

Da questa nuova prospettiva, deriva un nuovo modo di sentirsi interiormente. Un’altra importante conquista che ne deriva è il sentirci responsabili, una responsabilità che da peso sulle nostre spalle diventa potere nelle nostre mani perché

… non possiamo più accusare gli uomini e il destino di essere i soli, anzi neppure i principali, artefici dei nostri “mali”, ma vediamo in quanta parte essi dipendano dai nostri modi di pensare, di sentire e di agire.


Ilario Assagioli e Roberto Assagioli, Dal dolore alla pace, p. 54

Ritorniamo ad essere i protagonisti del nostro destino. Questo non significa che d’ora in poi la nostra vita sarà una passeggiata, come insegna anche la storia del vecchio cinese, ma che sarà molto diversa dalla corsa ad ostacoli che è stata fino ad ora. Anche nel bel mezzo del peggior inferno possibile, ora sappiamo che possiamo decidere come viverlo, ovvero che è in nostro potere colorare l’esperienza così come decidiamo.

Capivo che ero libero di assumere uno tra molti atteggiamenti nei confronti di questa situazione, che potevo darle il valore che volevo io, e che stava a me decidere in che modo utilizzarla.

Potevo ribellarmi internamente e imprecare; oppure potevo rassegnarmi passivamente e vegetare; potevo lasciarmi andare a un atteggiamento malsano di autocompatimento e assumere un ruolo da martire; potevo affrontare la situazione con un atteggiamento sportivo e con senso dell’umorismo, considerandola un’esperienza interessante (quella che i tedeschi chiamano erlebnis). Continua a leggere

Roberto Assagioli, Libertà in prigione

Secondo la tesi di Haidt, citata da Ferrucci in La nuova volontà, le avversità contribuiscono a sviluppare le nostre forze al massimo livello, ecco perché ci ritroviamo circondati dall’esempio di persone che, pur nelle peggiori circostanze, sono riuscite a lasciare testimonianze di una forza d’animo e di una tenace volontà volta a vivere bene la vita, nonostante tutto. Invece di essere minato da difficoltà e sconfitte, chi è resiliente dimostra di saperle usare come strumento per tirare fuori il meglio di sé.

Immagine di Clément Falize

Questa possibilità non è esclusiva, ciascuno di noi è l’eroe della sua fiaba personale, ciascuno di noi può partire alla ricerca del suo tesoro, e durante il viaggio affronterà sfide e ostacoli, incontrerà amici e nemici, rischierà di darsi per vinto finché, nel momento più buio, si ritroverà a tu per tu con se stesso e percepirà che sa esattamente cosa fare e dove andare, sa che il tesoro aspetta lui e non c’è davvero niente che possa impedirgli di raggiungerlo, niente se non la sua convinzione che, in realtà, il tesoro non esista.
Si tratta, come scrive Vittorio Viglienghi di credere nella vita, nel processo della vita.

Credervi al punto da sapersi affidare ad essa anche quando non la si comprende. Da saper soffrire per essa, per il maggior bene proprio e collettivo. Tutto questo dà felicità. Una felicità che nulla e nessuno può togliere. Una felicità fuori dal tempo e dalle circostanze, che può trasformare il “… e vissero per sempre felici e contenti” dalla fine di una fiaba nell’inizio di una nuova, straordinaria realtà.

Vittorio Viglienghi, E vissero felici e contenti

Prossimo articolo: La gioia come atteggiamento

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Immagine in apertura di Chris Lawton

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Tag: Last modified: 8 Ottobre 2023