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Dalle ferite alla luce

Terza parte del progetto “L’altra faccia del dolore”

Tante sono le porte da cui può entrare l’esperienza del dolore, tante situazioni di cui siamo protagonisti, volenti o nolenti. La sofferenza si affaccia alla nostra coscienza come il gong di una campana che ci richiama a noi stessi. È quell’attimo in cui guardiamo la nostra vita e non la riconosciamo: o perché non ci rappresenta più o perché la sua vecchia facciata sta cadendo a pezzi.

Ci affanniamo nel tentativo di non perdere ciò che avevamo perché l’ignoto è spaventoso se paragonato alla vecchia e tranquilla routine. Ma l’ignoto, con il suo carico di dolore e sbigottimento, reca con sé una nuova prospettiva a cui da sempre l’uomo anela: il desiderio di essere vero, di esprimere e conoscere se stesso completamente.

L’ignoto mette in discussione chi crediamo di essere, la vita così come l’abbiamo vissuta fino a quel momento. Mette in discussione i ruoli a cui ci siamo abituati e affezionati. Alla domanda “chi sono?”, rispondiamo con un ruolo, quello che più ci fa sentire al sicuro. Un ruolo, una maschera che col tempo abbiamo finito per assimilare al nostro vero volto. Ma ecco che irrompe il dolore. Perdiamo il lavoro, il nostro matrimonio vacilla, muore una persona cara, una malattia prorompe minacciosa e i ruoli saltano, la maschera si mostra per quello che è: una copertura rigida e soffocante che nasconde chi siamo davvero.

Quando riusciamo a toglierci la maschera, non solo possiamo respirare, ma la nostra vita ne viene rinnovata. Tuttavia, togliersi le maschere può non essere così facile. Forse siamo talmente abituati a indossare queste maschere da confonderle con la nostra stessa pelle. Per quanto le maschere ci possano limitare in continuazione, lottiamo con le unghie e con i denti per tenercele.

Brenda Shoshanna, I 7 principi della serenità, Vicenza, Edizioni Il Punto d’Incontro, 2010, p. 45

I momenti difficili mettono in dubbio l’identità a cui ci siamo abituati, creano una breccia da cui possiamo scorgere altro. 

Immagine di SplitShire

Secondo Carl Rogers nelle persone vi è un innato desiderio di crescere. Non siamo esseri statici, fatti una volta per tutte. Siamo in movimento, in trasformazione, il nostro primario impulso è di andare oltre, ma la tensione verso questa crescita implica necessariamente impegno, coraggio e spesso molta sofferenza. Il primo passo a cui ci obbliga il dolore è quello del riconoscimento, riconoscere ciò che fa male, ciò che ci spaventa di noi.

Per sapere chi siamo dobbiamo anche sapere chi non siamo, che cosa c’è di falso e inutile nella nostra vita, in che ambito viviamo il sogno di qualcun altro. Dobbiamo sapere che cosa ci inquieta e non vibra in sintonia con chi siamo. È importante riconoscere ciò che non possiamo fare, ciò che non è per noi.

Brenda Shoshanna, I 7 principi della serenità, Vicenza, Edizioni Il Punto d’Incontro, 2010, p.  51

Capita di adeguarsi a un modo d’essere, alla trama di una vita che non ci appartiene perché temiamo ciò che di “diverso” si muove al nostro interno. Temiamo quelli che Tsultrim Allione chiama i “nostri demoni”. I nostri demoni, spiega Allione, sono ciò di cui abbiamo paura: aspetti del carattere, emozioni, situazioni della vita. Li possiamo definire anche le parti in ombra di noi, tutto ciò che è di ostacolo alla liberazione della nostra essenza. Jung definì l’ombra come “le parti di noi che la mente conscia considera inaccettabili”.

L’ombra è il sé represso, gli aspetti indesiderati della personalità che disconosciamo. Può essere la vergogna, la rabbia o i pregiudizi. È quello che non vogliamo che gli altri sappiano di noi, e spesso appare nei sogni facendo cose che il nostro sé conscio non approverebbe.

Tsultim Allione, Nutri i tuoi demoni, Milano, Oscar Mondadori, 2009, p. 20-21

Il dolore si affaccia quando questo disconoscimento si è come cristallizzato in noi e, al pari dell’acqua che spacca la bottiglia di vetro in cui è stata ghiacciata, così l’energia repressa da questa cristallizzazione, prima o poi, emerge in modo prepotente e irrompe “spaccandoci” dentro.

Immagine di erin mckenna

Per quanto spiacevole, la sofferenza reca un messaggio importante con sé, come spiega Carotenuto:

È difficile per la nostra ragione immaginare la possibilità che anche ciò che consideriamo male, nelle sue svariate manifestazioni, può essere necessario, come un tassello unico e irripetibile, per costruire quel mosaico la cui immagine solo alla fine riusciremo a vedere nettamente.

Aldo Carotenuto, Le lacrime del male, Milano, Tascabili Bompiani, 2004, p. 89

La tensione interna che percepiamo nei momenti difficili della nostra vita, il dolore così come lo conosciamo, assume quindi la forma di una spinta alla liberazione. Tramite il riconoscimento delle nostre parti in ombra, delle emozioni intrappolate, è possibile liberare l’energia repressa che si trasforma in energia vitale al nostro servizio. Infatti, scrive Allione, “se l’ombra non viene resa conscia e integrata, opera di nascosto, diventando il sabotatore delle nostre migliori intenzioni e causando anche danni agli altri”. Da qui, l’importanza di portare alla consapevolezza l’ombra per ridurne il potere distruttivo e liberare l’energia vitale immagazzinata.

In certi casi il processo ci fa sentire come fossimo in punto di morte, la sofferenza ci piega in due, ci graffia, picchia, lacera dentro. Siamo di fronte a un momento cruciale, però, un momento che ci porta effettivamente di fronte a una morte, una morte simbolica preludio di una nuova rinascita.

Di dolore si muore, se non fuggiamo, se non ci abbandoniamo ad una inautentica speranza, se accettiamo il pericolo dell’esperienza, nel senso di un profondo mutamento di noi stessi: muore, realtà della realtà, ciò che in noi restringe il punto di vista sull’esistenza e sul mondo, ciò che ci incatena al quotidiano, che ci imprigiona nel mondo del sì.

Eugenio Torre, Dall’esperienza del dolore al dolore dell’esperienza

È proprio quando il gioco si fa duro, che possiamo trovare il coraggio, la forza d’animo, la resilienza per proseguire il viaggio nella terra oscura del dolore. È questo il momento in cui arrenderci può essere fatale. Perché, per quanto difficile possa apparire la prova a cui siamo sottoposti, è quello che ancora non vediamo che ci mostrerà perché sarà valsa la pena affrontarla.

…possiamo sì morire, soffrire, essere calpestati e lacerati, insultati vilipesi e abbandonati. E scendere nel buio profondo della morte. Ma lì possiamo trovare le forze per ritornare più forti e vitali di prima.

Piero Ferrucci, La nuova volontà, Roma, Casa Editrice Astrolabio, 2014, p. 166

Non è una vana promessa, ma un’opportunità che ci viene offerta perché, come ricorda Roberto Assagioli, “esistono vari livelli in noi, perciò mentre il livello emotivo soffre, un livello più alto può gioire”.

Prossimo articolo: Il percorso: conosci, accetta, trasforma

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Immagine in apertura di inno kurnia

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Tag: Last modified: 2 Ottobre 2023